Quattordici arrivati su trentadue partenti. Il primo a tagliare il traguardo, un muratore americano, in realtà ha fatto un lungo tratto in auto, e viene squalificato mentre è già in posa nelle foto celebrative con Alice Roosevelt, la figlia del presidente, il secondo classificato, e che quindi sarebbe il vincitore, nato a Birmingham ma naturalizzato americano, arriva completamente stordito da un cocktail di uova, cognac e stricnina, quando il carico emotivo del pubblico è oramai stiepidito.
Poi ci sono: un postino cubano che si presenta allo start con l’autostop, perché ha sputtanato allegramente tutti i soldi che grazie ad una colletta aveva racimolato per essere qua, giocandoseli a dadi a New Orleans, un sudafricano che sarebbe in città come figurante nella rievocazione della Guerra Boera in occasione dell’expo, ma tanto che c’è, corre la maratona e arriva nono, anche se deve allungare il percorso inseguito da un cane, un americano che sputa sangue lungo la strada a causa della troppa polvere ingerita, alzata dalle auto e dai cavalli al seguito della gara, salvato per caso da un passante…
Non è la versione podistica della fantozziana Coppa Cobram, è la maratona olimpica del 1904 di Saint Louis, Missouri.

“E’ un miracolo che il Movimento Olimpico sopravvisse a questa manifestazione”, dirà il barone Pierre De Coubertin ad un amico anni dopo le Olimpiadi del 1900 di Parigi, le seconde dell’era moderna.
Il neonato movimento infatti, dopo la buona partenza con Atene nel 1896, restò danneggiato nell’immagine dal caos dei Giochi di Parigi, tenutisi contemporaneamente all’Esposizione Universale. Tendenzialmente i giornalisti definivano ”olimpici” molti degli avvenimenti che accadevano durante l’expo, due manifestazioni mescolate insieme nell’arco temporale di quattro mesi, al contrario dei giochi di Atene del 1896 (svoltisi in dieci giorni), aggiungendo confusione alla confusione.
Possiamo immaginare la gioia del barone quando le Olimpiadi seguenti, in origine destinate a Chicago, furono assegnate a Saint Louis, città organizzatrice anche della Louisiana Purchase Exposition (30 aprile-1 dicembre). Infatti non assistette a nessuna gara, prevedendo un mezzo disastro. Si sbagliò, fu un disastro completo.

Dopo la difficile esperienza precedente, mettere insieme di nuovo giochi ed Expo era, per la gestione dell’evento, un suicidio. Ma Saint Louis, nel timore che un’Olimpiade, per quanto ancora in fase quasi sperimentale, avrebbe tolto visitatori all’esposizione, minacciò di svolgere gare di atletica in concomitanza a Chicago. La Louisiana Purchase Exibition avrebbe festeggiato con un anno di ritardo, il centenario del passaggio della Louisiana dalla Francia, che l’aveva ottenuta dalla Spagna nel 1800, agli Stati Uniti. Per 11.250.000 dollari Napoleone cedette agli States 2.140.000 km quadrati di territori, il 23% degli attuali confini statunitensi, facendo cassa per finanziarsi guerre logisticamente più comode in Europa.
Questi territori, in origine sotto controllo francese fino al 1762, poi sotto quello spagnolo, tornarono alla Francia dopo il trattato di San Ildefonso del 1800, questo accordo restò segreto fino al novembre 1803, tre settimane prima della cessione agli Stati Uniti. In pratica gli ignari abitanti cambiarono tre nazionalità in meno di un mese.

A questo punto il Comitato Olimpico lasciò la decisione al presidente americano Theodore Roosevelt, uno dei quattro scolpiti sul Monte Rushmore, e che era succeduto a William McKinley (da poco assassinato da Leon Czolgosz, un anarchico di origini polacche, ispirato nel gesto da Gaetano Bresci, che da quest’altra parte dell’Oceano, l’anno prima, uccise a Monza Umberto I, Re d’Italia). Roosevelt scelse Saint Louis (Che già aveva vinto lo spareggio per l’esposizione con Kansas City), e da qui in avanti entra in scena anche James Edward Sullivan. Nonostante sia uno dei membri più autorevoli del primo comitato olimpico, e quello più influente dello sport americano del tempo, nonchè presidente dell’Amateur Atletic Union, non ha notoriamente ottimi rapporti col Barone.

L’olimpiade di Sullivan venne inaugurata il 1° luglio e per terminare il 23 novembre, resta incontrastata la più lunga dell’era moderna, parteciparono 651 atleti, per la maggior parte americani, in alcune discipline, dove non erano presenti atleti di altre nazioni, si assegnarono sia i titoli di campione olimpico e campione nazionale degli Stati Uniti.
Uno dei motivi principali che tenne lontani gli europei fu la difficoltà di raggiungere Saint Louis, posizionata a 1500 km dalla costa orientale. Proprio in contemporanea, a Dayton nell’Hoio, due fratelli proprietari del negozio di biciclette Wright Cycle Company, stavano compiendo i loro studi sulle macchine volanti, i primi voli di linea arriveranno 6 anni più tardi, quindi se volevi gareggiare alle Olimpiadi ti aspettava un bel viaggio di quattro settimane in transatlantico e qualche altro giorno di treno. Inoltre la guerra russo-giapponese stava provocando tensione e incertezze in tutta Europa.

Alla Russia faceva comodo un porto libero dai ghiacci nell’Oceano Pacifico, per motivi militari e per il commercio marittimo. Vladivostok andava bene per la stagione estiva, ma Port Arthur (ora cinese, si chiama Lvshun) era indubbiamente più utilizzabile. Al Giappone poteva anche andar bene riconoscere l’influenza russa sulla Manciuria, però la Corea doveva restare nell’influenza giapponese. I negoziati non portarono a niente, e il Giappone decise di scendere in guerra contro quella che considerava un’aggressione russa in Asia.
Su quindici battaglie lo score è impressionante, tre pareggi e dodici vittorie Giapponesi, per lo stupore degli osservatori militari che seguirono questa campagna bellica.
Tra il 27 e il 28 maggio 1905, ebbe luogo la Battaglia di Tsushima, quella che sancì definitivamente la sconfitta dei russi, i quali, con la mediazione del Presidente americano Roosevelt, sì, sempre lui, quello che decise Saint Louis come sede olimpica, che è uno dei quattro scolpiti sul Monte Rushmore, e al qual verrà assegnato il Premio Nobel per la Pace per questo intervento, sottoscrissero la Pace di Portsmouth. La Russia lasciò la Corea al Giappone come stato d’influenza, si ritirò dalla Manciuria e abbandonò la simpatica idea di godere del panorama marino da Port Arthur, concentrandosi d’ora in avanti, e per tutto il novecento, a tormentare paesi a caso a ridosso dei Balcani.

(Oltre ad essere scolpito sul Monte Rushmore e ad aver ricevuto il Nobel, Roosevelt è anche l’ispiratore dei Teddy Bear, gli orsacchiotti di peluche appartenenti alla tradizione dei paesi anglofoni. Pare che durante una battuta di caccia grossa, uno dei passatempi preferiti del Presidente, lo stesso Roosevelt graziò un cucciolo di orso bruno della Louisiana. La notizia giunse ai giornali che tra resoconti e vignette ribattezzarono l’orso col nome del presidente, il successo portò alcune ditte a produrne esemplari in pezza e con bottoni al posto degli occhi. Diventerà la mascotte più apprezzata della campagna presidenziale di Roosevelt).

Per rimediare così, alla carenza di atleti provenienti dal di fuori degli Stati Uniti, ecco che a Sullivan viene la grande idea di organizzare le Giornate Antropologiche.
In collaborazione con William McGee, a capo del Department of Anthropology, furono organizzate delle discutibili competizioni tra minoranze etniche, ribattezzate dalla stampa Giochi Tribali.
Spacciato come esperimento scientifico, fu influenzato dalla filosofia del Darwinismo sociale, la quale considerava lo sviluppo umano una componente primaria del progresso evolutivo. L’intento primario era valutare le capacità atletiche di razze diverse, mostrando la superiorità americana e per giustificarne l’espansionismo.
Naturalmente nessuno dei partecipanti aveva esperienza di competizioni, nè aveva idea di cosa i due pazzi e il pubblico si aspettasse da loro, per ovviare a questo vennero date istruzioni in inglese poco prima di ogni evento, a individui che sicuramente non erano neanche in grado di leggere.

Nelle due giornate dedicati a questi giochi, che ottennero però un buon successo di pubblico, si finì solo col ridicolizzare i partecipanti, povere persone spaventate, fuori dal proprio ambiente, impegnate in attività a loro ignote, ed esposte al beffardo divertimento del pubblico. In mezzo a questo evento nell’evento dell’evento, perché ricordiamo le Olimpiadi furono inserite in occasione dell’Expo, vennero organizzate gare per fenomeni da baraccone e per atleti considerati all’epoca anziani (over 33).
In conclusione l’esperimento non dimostrò niente, e sia il barone De Coubertin, sia gli storici delle Olimpiadi, si riferiranno per sempre a quei giochi, come il nadir (il punto più basso) delle Olimpiadi moderne.

A parte queste due giornate da dimenticare, il resto dei veri giochi olimpici non è che se la passasse bene, oltre le defezioni di molti paesi del mondo (a fine Olimpiade si conteranno 239 medaglie americane su 280 assegnate in totale) dominava la confusione in eventi già dispersivi di suo, sparpagliati da luglio a novembre.
I Giochi Olimpici dovevano ancora trovare formula e forma giusta, erano presenti sport come golf (poi escluso fino a Rio 2016), Lacrosse (che fu replicato nel 1908 e basta), tiro alla fune, e il Roque, che è la versione americana del Croquet inglese, (quello che gioca Alice nel paese delle meraviglie contro la Regina di cuori, anche se non si pratica come loro con un fenicottero come mazza e un riccio come pallina), e per questo hanno tolto la “C” inziale e la “T” finale.

Era presente all’Expo un bacino artificiale, dove la guardia costiera svolgeva le sue esibizioni di tecniche di salvataggio, ma sulle sue rive trovavano refrigerio anche le bestie impegnate nella sezione agricoltura. Era impensabile al tempo costruire piscine per le gare di nuoto, e quale miglior sede del bacino artificiale? Infatti quattro nuotatori contrassero il tifo e morirono per l’infezione alcuni mesi dopo.
Per l’atletica fu invece utilizzato lo stadio Francis Field della Washington University, venne aggiunta una pista in cenere appositamente per i giochi del 1904.

Ed è qua, il 30 agosto, che prende il via la maratona olimpica, uno degli eventi più attesi ed importanti. Considerando che Saint Louis è posizionata più o meno alla latitudine di Palermo, stabilire la partenza alle 3 del pomeriggio poteva in effetti creare qualche problemino, tipo temperature sopra i 30 gradi e il 90% di umidità rilevato.
Ai partecipanti solo al momento del via viene consegnata una mappa, dopo cinque giri di stadio usciranno in strada, ma le strade nel 1904 sono strisce di sterrato polveroso, su questa studiata per l’evento ci sono anche sette alture e solo due ristori (una cisterna d’acqua piovana al 10° km e un pozzo al 32°) prima di rientrare allo stadio e chiudere i 40 km di questa maratona.

Si 40, perchè la distanza era variabile, sempre intorno ai 40 km, ma non definita. Sarà 42,195 metri per la prima volta alle Olimpiadi di Londra del 1908, per via di Alexandra Carolina Marie Charlotte Louise Julia di Slesvig-Holsten-Sønderborg-Lyksborg. Quella maratona, che secondo gli organizzatori doveva essere 42000 metri, partiva dal Castello di Wndsor e si concludeva allo Stadio Olimpico, furono aggiunti altri 195 metri in modo da porre il traguardo proprio sotto il palco reale. La distanza come la corriamo oggi venne stabilita nel 1921 dalla federazione mondiale di atletica, e divenne ufficiale ai Giochi di Parigi del 1924.
La starting list è minimalista, ma ben variegata, 18 americani (anche se tra loro alcuni hanno nascita in altri paesi, ma vengono naturalizzati statunitensi per avere più possibilità di vittoria), 9 greci, probabilmente per ricambiare il favore delle olimpiadi del 1896 (dai venite alla nostra gara, poi noi torniamo alla vostra, una cosa tipo le nostre gare amatoriali insomma), un atleta di Terranova (all’epoca colonia britannica), tre sudafricani e un cubano.

Atleti da tenere d’occhio ce ne sono, c’è lo statunitense Sidney Hatch, che ha già vinto una medaglia d’argento nel cross a squadre con i connazionali Jim Lightbody, William Verner, Lacey Hearn e il francese Albert Corey (si, quattro americani e un francese, alle prime tre edizioni dei Giochi olimpici, Atene 1896, Parigi 1900 e St. Louis 1904 era consentito di comporre squadre da atleti di paesi diversi). Però qualche giorno dopo il cross, Corey si presenta anche al via della maratona, e qua viene considerato americano, vivendo oltreoceano da più di un anno, secondo gli organizzatori era ormai da ritenersi naturalizzato, analisi che probabilmente era sfuggita in occasione della gara delle 4 miglia a squadre. C’è una delle prime stelle della maratona di Boston, Sammy Mellor, sempre tra i primi otto tra il 1901 e il 1909 con una vittoria nel 1902, specialista in corse di lunga lena, come le chiamavano al tempo.

C’è Michael Spring terzo a Boston nel 1903 (Gara che poi vincerà a dicembre 1904 in 2h e 38′) dietro a Mellor e John Lordan, anche lui presnte a Saint Louis. Poi ci sono due dei grandi protagonisti: Frederick Lorz, neworkese, tesserato per il Mohawk Athletic Club, si allena principalmente a tarda sera, visto che di giorno fa il muratore, quarto a Boston nel 1903 riesce a strappare il pass per Saint Louis il 13 agosto, durante una gara sulla distanza di 14,5 km, e Thomas Hicks, falegname nato a Birmingham ma naturalizzato statunitense, tesserato per il Cambridgeport YMCA, già capitano della squadra di fondo di Minneapolis che vinse il campionato statale nel 1903.

E anche outsider al limite del pittoresco, come Frank Pierce, primo nativo americano a rappresentare gli Stati Uniti ad un’olimpiade, o come Bob Fowler, primo ed unico rappresentante del Dominion di Terranova ai giochi olimpici, o i due uomini della tribù Tsuana del Sud Africa, che erano a St. Louis come figuranti nelle rievocazioni giornaliere delle guerre Boere. Len Taunyane, uno di questi due, era veramente un veterano della seconda Guerra tra britannici e coloni sudafricani di origine olandese.
Tale Sir Theophilus Shepstone decise di annettere il Transvaal all’Impero britannico, ovviamente i Boeri si ribellarono, e nel giro di un anno inflissero belle batoste ai britannici che furono costretti a ritirarsi, pare che avessero sbagliato i completini da gioco questi ultimi, presentandosi con eleganti ma inutili uniformi rosso brillante, valutando clamorosamente male la scelta mimetica.

Otto anni più tardi ci riprovarono però, un motivo fu la scoperta dell’oro in queste zone, l’altro la paura dei britannici che i Boeri potessero legarsi all’Africa Tedesca del Sud-Ovest, alleanza da evitare assolutamente secondo loro. Nel 1902 riuscì ad avere la meglio l’Impero Britannico, venne firmato il Trattato di Vereeniging, il quale stabiliva anche la nascita dell’Unione del Sud Africa, ora semplicemente Sudafrica. Nelle 592 pagine “The Great Boer War”, c’è la testimonianza storica di quesi eventi, dal punto di vista inglese, raccontati da Sir Arthur Conan Doyle, l’inventore di Sherlock Holmes, e inviato alle Olimpiadi del 1908, dove scrisse un esaltante pezzo sul nostro Dorando Petri.
Inevitabilmente se sei stato sul fronte di qualsiasi guerra, tutto quello che non è il fronte di qualsiasi guerra non può che apparirti un gioco, ed ecco che quindi che Jan Mashiani e Len Taunyane (che veniva chiamato “Len Tau” o “Lentauw” dagli addetti olimpici che non sapevano pronunciare il suo nome), tanto erano là in Louisiana per rievocare le Guerre Boere, decisero anche di partecipare a questa maratona.

Ma probabilmente il più improbabile fu Felix Carvajal, postino cubano, molto conosciuto a l’Avana, e al servizio della patria durante la guerra ispano-americana del 1898, quando sfruttando le sue doti podistiche correva a consegnare dispacci militari avanti ed indietro.
Riesce grazie ad una colletta a mettersi in viaggio per Saint Louis, arrivato a New Orleans ha l’intuizione di entrare in una bisca, ne uscirà senza un dollaro lasciandoli tutti al tavolo dei dadi. Si trova ad un migliaio di km da Saint Louis, ma non si perde d’animo, e con l’autostop riesce ad arrivare alla partenza all’ultimo momento, ed è già un’impresa, considerando il traffico automobilistico che poteva esistere nel 1904.

C’è anche l’inconveniente, non da poco, che non si nutre da svariato tempo, e questo gli costerà il podio, ma anche il fatto che arrivi probabilmente col vestito con il quale è uscito dal casinò di New Orleans, l’abito buono insomma: camiciona, calzoni lunghi e scarpe con una specie di tacco, buono per uscire nelle sere di inizio secolo, non tanto per correre. Grazie al lanciatore americano Martin Sheridan riesce almeno a strappare i calzoni all’altezza del ginocchio, non sarà il massimo, ma almeno somigliano a qualcosa da corsa.
Ecco l’allegra brigata pronta alla partenza, 5 giri di pista, per sfilare davanti al pubblico e studiarsi un po’, poi fuori all’avventura, e non è un modo di dire.
Non c’è una vera cronaca della gara, non si capisce dalla storia come si sia formata la classifica finale, anche se i soli 14 arrivati ci fanno immaginare che non sia stata una passeggiata, ci sono però estratti e suggestioni che in un certo modo riescono a farci immaginare qualcosa.

Se già i 31 gradi erano una bella difficoltà, va aggiunto che gli ufficiali di gara e gli accompagnatori seguivano la corsa con auto e cavalli, alzando dei bei polveroni che inghiottono gran parte del circostante. Il resto è campagna esplosa sotto il sole di agosto e orizzonti sfocati, tremolanti di afa. Non si sa quanti si ritirarono prima di raggiungere il “ristoro” del 32° km, le cose sensate sono evaporate nel caldo e nascoste dalla polvere, ma sappiamo che se non fosse stato per un passante probabilmente William Rosenbir Garcia sarebbe morto intorno al 30° km, quando fu trovato sdraiato sul bordo della strada a sputare sangue, a causa delle ferite interne causate dalla polvere.

Mentre i favoriti si danno battaglia, Len Taunyane deve deviare dal percorso allungandolo, ha infatti ingaggiato una battaglia con un cane, cioè il cane attacca e lui scappa, riuscirà comunque a rientrare in gara e a terminare al nono posto, qualche posizione l’ha persa sicuramente con questa disavventura. Felix Carvajal era sicuramente in ottima posizione fino ad un certo punto, pare che a volte si sia fermato a chiacchierare con alcuni spettatori, forse convinto di essere al lavoro come postino, e si sa due chiacchiere sul tempo e sullo sport le scambi sempre volentieri, ma soprattutto, preso dalla fame, assalta un albero di mele marce, ha forti crampi allo stomaco ed è costretto a fermarsi, si addormenta e quando riparte chiude comunque al 4° posto.

Già pare ci sia una discreta baraonda così, ma a Lorz non basta, va in crisi relativamente presto, al 14° km, quindi sale in auto con il suo allenatore, ma a 10 km dal traguardo la macchina si ferma per un guasto. Oramai riposato Lorz va verso lo stadio a riprendere le sue cose, ma una volta entrato viene acclamato come il vincitore della maratona, e lui forse catturato da questa festa non ce la fa proprio a dire come siano andate le cose, non ha il coraggio di contraddire la folla, e allora ne approfitta per godersi questi attimi destinati a pochi, esulta, saluta tutti e riceve addirittura coppa e corona d’alloro dalle mani di Alice, la figlia del Presidente, con tanto di foto a ricordare tutto questo.

La gloria dura poco, viene smascherato da alcuni testimoni proprio mentre sta entrando al Francis Field un uomo barcollante che pare più morto che vivo, divorato dalla fatica e con il volto scomposto. È Thomas Hicks, spinto in avanti da un cocktail bizzarro, un mix composto da uova, cognac e stricnina , servitogli dal suo allenatore, Charles J. P. Lucas, tipo molto chiacchierato, quando stava per ritirarsi. La stricnina è sì un veleno, ma presa in piccole dosi è anche uno stimolante, e tecnicamente non è doping, il divieto di usare sostanze arriverà nello sport solo nel 1928. Hicks passa direttamente dal traguardo all’infermeria dello stadio, sguardo fisso e perso verso chissà quale altrove, molto probabilmente non sa neanche di aver vinto la maratona olimpica. In seguito correrà ancora, con una vittoria in maratona a Chicago nel 1906.

Lorz verrà dapprima squalificato a vita, poi riabilitato a gareggiare, in quanto fu stabilito che la sua era stata chiaramente una trovata goliardica anziché un tentativo di frode sportiva, testimoniata dal fatto che mentre era in auto salutava ironicamente i concorrenti ancora in gara, anziché preoccuparsi di nascondersi. Vincerà poi la maratona di Boston nel 1905, senza auto stavolta, e morirà di polmonite prematuramente nel 1914.
Secondo a sei minuti esatti arriva Albert Corey, quello che la settimana prima era francese ma per la maratona americano, terzo a 19 minuti Albert Newton, già 5° a Parigi nel 1900. Primo fuori dal podio, come già detto, il postino cubano, il tempo non è rilevato, pare abbiano ritenuto interessante prendere solo i primi tre.
Questa buona prestazione, nonostante tutto, porterà ancora Felix Carvajal a rappresentare Cuba alle Olimpiadi intermedie del 1906, ad Atene.

Tra la III e la IV Olimpiade venne organizzata ad Atene un’edizione intermedia per celebrare il decennale del ripristino dei giochi, ma soprattutto per rilanciarne la popolarità. Furono un successo organizzativo e partecipativo, benchè i risultati non siano mai stati inclusi nel conteggio ufficiale. Venne presa in considerazione dal Comitato Olimpico l’idea di proporli in maniera stabile ad Atene ogni quattro anni, negli anni pari non olimpici, ma le tensioni tra la Grecia e l’Impero Ottomano fecero saltare la possibile edizione del 1910, la Prima Guerra Mondiale quella del 1914, e l’idea di questi Giochi intermedi venne abbandonata.

Amante dei colpi di scena, Felix non arriverà mai in Grecia, si persero le sue tracce in Italia, dove ebbe modo di rilasciare un’intervista alla Gazzetta nella quale affermò di avere origini napoletane. Dichiarato scomparso e deceduto, uscirono addirttura necrologi sui giornali cubani, ma fece tranquillamente ritorno a l’Avana tempo dopo, baffoni al vento, su un piroscafo spagnolo.

Mi ero semplicemente interessato ai vincitori delle passate maratone olimpiche per farne un articoletto di 4000 battute, ed già era curioso che in un’edizione l’avesse vinta Mister Hicks. Poi tra il come abbia vinto, e attraverso vari link invadenti, ma non trascurabili, sono arrivato a passare le 22000, lunghino e caotico come le Olimpiadi del 1904 mescolate ad un’Esposizione*.

*Nella quale tra l’altro, pare si stato inventato il cono gelato. Brevettato però da un italiano nel dicembre precedente, è più verosimile che sia in quell’occasione che abbia ottenuto successo su larga scala, il 23 luglio, in un afoso pomeriggio in cui Charles E. Menches finì i piattini per il gelato, per disperazione sua e per quella dei visitatori della Louisiana Purchase Expotion, ma Charles non si perse d’animo, e guardandosi intorno vide la bancarella vicino alla sua, quella del pasticciere siriano Ernst Hamwi, il quale sfornava di continuo cialde per un dolce tipico delle sue parti. Corse da lui e ne comprò una gran quantità, le arrotolò a forma di cono e ci infilò del gelato dentro.

Sezione: Editoriale / Data: Dom 09 agosto 2020 alle 11:07 / Fonte: Roberto Leonardi
Autore: Redazione Tuttorunning
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