Per chi è abbastanza fortunato, in questo periodo, uno dei problemi è il non poter svolgere le attività ricreative preferite. Per la maggior parte delle mie conoscenze, virtuali e non, questa attività è rappresentata dalla corsa. Non possiamo andare liberamente come quando era scontato, e quindi manca il benessere che correre ci regala, la via di fuga che per qualche ora ti fa dimenticare qualsiasi cosa che vuoi dimenticare, il dirigerci verso la gara che magari avevamo rivestito di significati particolari. Non buttiamoci giù, torneremo a correre soli o in compagnia, nei sentieri che abbiamo reso templi per le nostre meditazioni o nei tracciati da galoppare con ripetute feroci, ad assaporare la solita felice aspettativa della domenica mattina, a terminare la tabella lasciata a metà per quella maratona che avevamo in programma (io Milano il 5 aprile). Non c’è fretta, ce lo insegna Shizo Kanakuri, tempo maratona: 54 anni, 8 mesi, 6 giorni, 5 ore, 32 minuti e 20 secondi.

La maratona è quella delle Olimpiadi di Stoccolma del 1912, e Shizo all’epoca è un giovane giapponese di 21 anni. Nato nella cittadina di Tamana, si trasferisce a Tokio per studiare alla Normal Higher School, qua si mette in evidenza nelle prove su lunga distanza, 2h 32’45’’ in maratona, insieme ad un altro studente più dotato per gli sprint, 100, 200 e 400 metri, Yahiko Mishima.
I giochi olimpici sono nati da poco, le prime 4 edizioni per motivi storici-politico-culturali sono ancora più che altro una competizione per paesi occidentali, o comunque nella sfera di influenza di questa parte, però il Barone De Coubertin cerca sempre di coinvolgere nel suo sogno più “mondo” possibile. La politica isolazionista del Giappone era finita formalmente da qualche anno, anche se come tutte le trasformazioni non tutto era avvenuto in un giorno, ed essere invitata come nazione dal barone alle Olimpiadi, tra l’altro prima nazione asiatica, era un’occasione di distensione per tutti.

Tra gli studenti/atleti delle varie università, Kanakuri e Mishima sono i due prescelti che rappresenteranno il Giappone alle Olimpiadi, ma il problema, non trascurabile, è che la trasferta costerà una cifra che nessuno vuole investire. Allora interviene direttamente la scuola, che per aiutare i due organizza una colletta alla quale partecipano con entusiasmo studenti ed ex, professori e lo stesso preside, il celebre Kano Jigoro, fondatore del judo.
Con i 2000 yen raccolti i due si mettono in viaggio il 16 maggio verso Shinbasi, dove prendono il treno per Tsuruga. Da qua si imbarcano per Vladivostok, salgono sulla Transiberiana e dopo 9289 km di treno e sette fusi orari scendono a Mosca, tra altri treni e altre navi coprono i 1400 km restanti per Stoccolma, dove finalmente arrivano il 2 giugno.

Qua si sistemano e Shizo si prepara con gli ultimi allenamenti prima della maratona, gara che si corre il 14 luglio sulla distanza di 40,2 km, partenza ed arrivo allo Stadio Olimpico di Stoccolma, come da tradizione olimpica nel primo pomeriggio, in assenza di ristori ufficiali, divieto di assistenza, e con una temperatura di 32°.
Fino al 30° la gara, per quanto dura, procede regolarmente, con il gruppo allungato per le strade vigliacche dell’epoca. Rispetto alle edizioni precedenti sono presenti meno atleti improvvisati, e comunque alla fine dei conti ne arriveranno esattamente la metà dei 68 partenti. Due primati spettano al portoghese Francisco Lazaro, carpentiere in una fabbrica di automobili, è il primo portoghese a partecipare alle olimpiadi, e purtroppo è il primo atleta a morire durante i giochi. Per evitare ustioni si era cosparso di cera, portando il corpo ad una disidratazione ancora più estrema, svenuto intorno al 30°, morirà dopo poche ore. Sarà questo evento a spingere il Comitato a scegliere in futuro orari più freschi.

Shizo corre nel gruppetto di testa, quando passando nel piccolo villaggio di Sollentuna, un uomo, probabilmente impietosito da questi disperati dai volti sfiniti, ricoperti di polvere impastata a sudore, chiede se qualcuno vuole bere qualcosa, il giapponese si ferma e beve un succo di lampone, poi accetta l’invito di sedersi un attimo sull’invitante divano all’ombra della veranda. Solo che non sarà proprio un attimo, crolla in sonno profondo, e il padrone di casa non vuole disturbare quell’uomo asiatico sfinito, che si risveglierà dopo una decina d’ore.
La gara è finita da un pezzo ed è stata vinta dal sudafricano Ken McArthur, davanti al connazionale Christian Gitsham, che lo accusa di aver violato il patto che se avessero trovato un ristoro si sarebbero aspettati. Intanto la giuria e la polizia hanno più volte percorso il tragitto di gara a ritroso per recuperare i ritirati, ne manca uno però, e nel referto dei giochi, e soprattutto della polizia, verrà iscritto nel registro delle persone scomparse.

E’ un disonore troppo grande per Shizo, vive questa cosa come un tradimento verso tutti quelli che hanno creduto in lui, e in silenzio, senza dire niente a nessuno, riprende la nave che dalla Svezia lo riporta sulla terraferma, il treno che lo riporta a Mosca, risale sulla Transiberiana, dopo 9289 km e sette fusi orari, scende a Vladivostok, da qua prende la nave per Tsuruga, poi il treno per Shinbasi, e ritorna a casa.

Passano gli anni e anche la follia della prima Guerra Mondiale, Shizo corre ancora, si ripresenta anche alle Olimpiadi del 1920 e del 1924 senza fortuna, il suo ritiro di Stoccolma è dimenticato, le notizie viaggiano ancora lentissime, il mondo era più distante senza radio, televisione ed i mezzi di oggi, la sua scomparsa dalla maratona resta un caso solo in Svezia, e col tempo diventerà proverbiale, quelle cose da riderci su, “ti ricordi quel giapponese…”

Poi nel 1962, in occasione del cinquantenario di quei giochi, la televisione svedese decide di spedire un inviato alla ricerca di Kanakuri, e lo trova che insegna serenamente geografia nella sua città natale. Shizu viene in seguito invitato in Svezia per il 55° anniversario a terminare la sua maratona, ed accetta.

Magari è stato un suo modo per chiudere questo conto con il passato, o la nostalgia del riflesso di una gioventù abbagliante come tutte le gioventù, fatta di ancora di obiettivi mischiati a sogni. Fatto sta che ritorna davanti alla veranda dove 54 estati fa aveva interrotto la sua maratona, e la riprende, esattamente da lì, spinto da esigenze diverse da quel tempo. Non insegue più gli altri o una medaglia, ma sé stesso. E a 76 anni entra finalmente all’Olimpico di Stoccolma, chiudendo quella sfida senza fine e facendo pace col suo tramonto.

Sezione: Editoriale / Data: Lun 27 luglio 2020 alle 17:34 / Fonte: Roberto Leonardi
Autore: Redazione Tuttorunning
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