Nel libro ‘Correre e ultracorrere’ vengono indagate le origini fisiologiche e le motivazioni che ci portano a compiere ultramaratone. Siamo davvero nati per correre distanze così lunghe?
Partendo dalla domanda ‘siamo nati per correre ultradistanze?’, Gabriele Ferretti indaga i motivi per cui un tempo l’essere umano (Homo sapiens) ha iniziato a correre per lunghe distanze e i motivi che lo spingono ora a correre le ultramaratone. Ma perché un filosofo dovrebbe interessarsi a queste tematiche? Semplice, perché anch’egli è un ultratrailer che dedica weekend ad allenamenti lunghi 50/60 km e a gare di 100 km. Normale quindi che si sia interrogato delle motivazioni che spingono lui e altri ultrarunner a immergersi in un’attività così sfiancante, in un’epoca poi in cui tecnologia e comodità la fanno da padrona.
L’Homo sapiens era fatto per correre
L’excursus storico fatto da Ferretti racconta che l’Homo sapiens era fisiologicamente fatto per correre lunghe distanze, in un’ottica di sopravvivenza. Per meglio dire: l’Homo sapiens, incapace di correre velocemente e combattere con altri predatori, aveva sviluppato la capacità di correre non veloce ma per molti chilometri, eccellendo in quella che veniva chiamata caccia di persistenza. Questo metodologia consisteva nello sfiancare la preda con corse lunghissime, che portavano spesso gli animali cacciati alla ipertermia, mentre l’essere umano poteva contare sulla sudorazione per abbassare la temperatura.
L’Homo sapiens divenne così l’unico predatore capace di cacciare grazie alla sua peculiarità di essere non molto veloce, certo, ma molto, molto resistente e di poter correre al caldo. Come dice anche il neuroscienziato Andrea Bariselli nel suo podcast A Wild Mind: l’essere umano è nato per muoversi per lungo tempo.
L’ultramaratoneta e le sue caratteristiche
Ma c’è di più: gli studiosi Daniel Liebeman e Dennis Bramble, in uno scritto del 2004, hanno sviluppato la endurance running hypothesys, ovvero l’ipotesi che l’essere umano, proprio per le caratteristiche evolutive mutuate dalla caccia di persistenza, sia una macchina perfetta per correre lunghe distanze. In base a questa ipotesi, infatti, l’essere umano, per le sue caratteristiche fisiche come ad esempio l’essere dotato di una serie di ‘molle’ naturali, come il tendine di Achille, l‘arco longitudinale del piede, oppure la peculiarità di avere tronco e testa stabili, braccia e gambe che possono ruotare, è naturalmente predisposto alla corsa di lunga distanza. Un po’ come aveva scritto Cristopher McDougall nel famoso Born to run, dove l’attività della corsa sarebbe inscritta nel DNA dell’essere umano.
Nello stesso tempo, in base alla teoria della mente incorporata, ovvero che l’architettura della mente dipende dalla morfologia del corpo, se il nostro corpo si è evoluto grazie alla caccia di persistenza, allora anche la mente si è evoluta in tal senso ed è una mente perfetta per le corse di lunga distanza. Ovvero: correre ha giocato un ruolo cruciale nello sviluppo del nostro cervello. Basti pensare alle congetture che l’Homo sapiens doveva fare ogni volta che, cacciando, incontrava determinate tracce appartenenti alle sue prede: da dove venivano, dove erano andate, che cosa avevano fatto prima di quel momento, dove si sarebbero dirette… Tutti questi ragionamenti avrebbero fatto evolvere la mente nella stessa direzione.
E ora? Perché corriamo lunghe distanze?
In realtà la tesi del libro va oltre, perché a un certo punto Ferretti si domanda: se siamo davvero ‘nati per correre’, perché l’attività della corsa di lunga distanza e le ultramaratone, sempre più partecipate, sono così dannose per il fisico umano? Parliamo di danni al sistema muscolo scheletrico, ai rischi di anemia, di disidratazione (spesso le ultramaratone richiedono impegni di molte ore in luoghi caldi). Non c’è una contraddizione?
In effetti sì, e non solo fisica ma anche mentale, in quanto la mente stessa, quando percepiamo dolore, riesce a ‘silenziare’ il nostro corpo per poter andare avanti e arrivare al traguardo.
Quindi perché corriamo, ora, se non abbiamo più bisogno di predare per cibarci? E perché sempre più gente si dedica alle distanze lunghissime di corsa, sottoponendo il proprio fisico a stress di ogni tipo, dal catabolismo muscolare alla deprivazione di sonno?
Nella società odierna subentra un bisogno di carattere esistenziale, riflesso della dimensione sociale che l’essere umano sta attraversando. Correre ultramaratone, oggi, è uno specchio del nostro tempo, un’attività molto attuale.
Infatti, secondo Ferretti, oggi corriamo per:
bisogno di natura e senso di libertà, per fuggire da una società opprimente e tecnologicamente claustrofobica. Per questo ci dedichiamo a ore e ore di allenamenti in mezzo ai boschi, a gare all’aperto che ci costringono a badare a noi stessi, gestendo acqua, cibo e bisogni principali
conoscere noi stessi: perché stare in ballo tante ore ci costringe a rimanere con noi stessi per altrettanto tempo e ad attraversare uno spettro di stati d’animo molto ampio
andare oltre i nostri limiti ovvero il desiderio di sentirsi ‘illimitati’. Arrivare al traguardo nonostante dolori e i mille disagi attraversati ci fa sentire invincibili
desiderio di sfinirci (ma di sentirci vivi): propensione a metterci in difficoltà per vedere come reagiamo.
Autore: Redazione Tuttorunning
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