Questa la newsletter di Orlando Pizzolato. "Fare delle pause durante gli allenamenti non è prerogativa solo delle sedute che rientrano nel cosiddetto “interval training”, nelle quali si alternano dei tratti di corsa veloce ad altri di corsa lenta o al passo.
Interrompere una seduta di corsa continua per fare una pausa può essere utile per aumentare la durata e/o la qualità dello stimolo.
Ovvio che chi riesce a percorrere tanti chilometri e correre a velocità sostenute senza fermarsi non ha motivo di fare la pausa, purché non si trovi nell'impossibilità di percorrere più strada, o di correre più velocemente.
Tutti abbiamo un limite, sia di durata, sia di tenuta a determinate velocità, oltre il quale ci troviamo in grande difficoltà. È quindi vero che sarebbe meglio non fermarsi, ma a volte ci troviamo proprio nella situazione di non “farcela più”, e la pausa aiuta a completare la seduta, oltre che ad allungarla.
Fermarsi può quindi essere un beneficio ed un vantaggio. Pensiamo alle difficoltà di completare una seduta di “lunghissimo”: i chilometri percorsi sono già tanti e ne mancano ancora un bel po' per finire, ma siamo molto stanchi. Se ci fermiamo e non completiamo il chilometraggio programmato, viene a ridursi lo stimolo allenante. Quindi, procedere facendo ogni tanto una breve pausa aiuta a completare il chilometraggio previsto e a mantenere inalterato lo stimolo allenante.
Un altro esempio viene dalle sedute di “medio” perché, con il passare dei chilometri, nei muscoli si accumula gradatamente sempre più lattato e il sangue diventa sempre più acido. Lo sforzo, che inizialmente era di facile gestione, può diventare intollerabile nella seconda parte, tanto che ci si trova a rallentare anche vistosamente la velocità, o a sostenere uno sforzo che non rientra più nell'abito specifico che si voleva stimolare. Una situazione simile è ancora più evidente con il corto veloce, perché l'intensità è maggiore.
È ovvio che mi riferisco in questi casi a podisti di ridotta efficienza fisica, perché il loro equilibrio fisiologico sotto sforzo (omeostasi) si altera rapidamente per il ridotto supporto dei fattori che dovrebbero invece rendere stabile l'efficienza fisica.
La pausa cui mi riferisco deve essere la più breve possibile per favorire il ritorno ad uno stato di normalizzazione fisiologica per lo sforzo che si sta sostenendo. Il parametro di riferimento che possiamo facilmente utilizzare è quello della frequenza cardiaca, utile più nelle sedute di corsa media e di corto veloce perché le pulsazioni, nel corso della sforzo, hanno variazioni più alte e più rapide. Quindi, se si devono percorrere 10km a 170 battiti ma dopo 5km la frequenza cardiaca è salita a 173-175, posso fermarmi ad attendere che i valori rientrino verso 167-70. Non riparto a correre quando arrivo a 170 pulsazioni perché dopo alcuni minuti la frequenza torna ancora a 173-175. Di solito, serve anche solo un minuto per far rientrare i battiti nel range di “lavoro” e per alcuni podisti ancora meno. Per altri invece potrebbero servire 2-3 minuti perché hanno ridotte qualità aerobiche. In questi casi il podista non dovrebbe ancora sostenere né la corsa media, né il corto veloce perché sono sforzi che non riesce a sostenere con efficacia. Tuttavia, va bene svolgere sedute nelle quali è presente qualche breve tratto (500-1000m) al ritmo della corsa media, o del corto veloce per ricreare i primi stimoli specifici. Per quanto riguarda invece le sedute di “lunghissimo”, il riferimento alla frequenza cardiaca per determinare la lunghezza della pausa non è adeguato, perché la necessità di interrompere lo sforzo è determinato dalla stanchezza strutturale (male ai muscoli e alle articolazioni) più che dallo sforzo organico (di “fiato”). Pertanto, la durata della pausa viene definita dalle sensazioni del podista. Per esperienza diretta con podisti amatori, la durata più adeguata della pausa è di 1'00”-1'30”. Per gli atleti dediti alle competizioni di resistenza, le pause durante sedute di ridotto impegno organico appaiono come “buchi” nello stimolo allenante e, come riportato in precedenza, chi ha la tenuta può non avere la necessità di fare qualche pausa (se non per bere un paio di volte, per esempio). Si pensi per esempio ai ciclisti, ma anche agli sciatori di fondo i quali - durante gli allenamenti - hanno momenti in cui lo sforzo cala (per esempio quando percorrono un tratto in discesa). Questo momento è in effetti un “buco” nello stimolo, ma ciò non viene a togliere effetto allenante se la pausa ha durata ridotta. Anzi, in un periodo sfavorevole sotto l'aspetto climatico com'è quello estivo, dove anche semplici e limitate sedute di corsa lenta risultano particolarmente stressanti e poco rigeneranti, “prendere fiato” aiuta a sostenere stimoli che potrebbero altrimenti trasformarsi in fonti di elevato stress seppur con un carico ridotto".
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