Questa l'opinione dell'ex campione Orlando Pizzolato. A volte, più spesso di quanto si possa immaginare, si presenta un gap tra rendimento agonistico e potenziale dell'atleta. È il caso di quando in allenamento si fanno ottimi tempi e poi in gara non si raggiungono le prestazioni cronometriche che sarebbero correlate.
La situazione emerge molto evidente sulle distanze lunghe. Per esempio, il maratoneta è più che convinto che, per essere pronto ad affrontare la distanza, sia sufficiente fare alcune lunghe sedute di corsa lenta (e qui le convinzioni di quante sedute siano sufficienti e quanti chilometri si debbano percorrere sono praticamente infinite); per scoprire e verificare poi che in gara - nonostante si sia allenato di più rispetto alla preparazione di una precedente maratona - il gap rimane.
Quando in una gara non si raggiunge la prestazione voluta, si pensa spesso di non essersi allenati in maniera adeguata, con riferimento agli aspetti quantitativi e qualitativi. Si è portati a pensare che la soluzione sia quella di percorrere più chilometri e/o ritmi più veloci. A volte la soluzione risiede proprio su questi aspetti, ovviamente solo se ci si è allenati in maniera inadeguata!
In molti casi però la soluzione non è così diretta, specialmente quando si è arrivati ad un carico molto vicino a quello che si può sostenere. Il gap tra potenziale fisiologico e rendimento agonistico deve essere ricercato a livello del costo metabolico/energetico, vale a dire di quante energie vengono impiegate per sostenere una determinata velocità. Quando si parla di costo energetico viene subito alla mente il ben noto calcolo: 1 caloria (circa) x 1km x 1 chilogrammo di peso corporeo.
Il costo metabolico dovrebbe essere calcolato in modo specifico velocità per velocità perché può variare in maniera rilevante, soprattutto quando ci si avvicina al ritmo della gara. Un podista può avere un dispendio energetico contenuto quando corre piano ma che aumenta, anche di molto, con il progressivo incremento della velocità di corsa - tanto da diventare controproducente.
A volte può essere evidente che il podista corre con degli atteggiamenti fisici dispendiosi, ma spesso il costo metabolico non è per niente così evidente e deve essere individuato con modalità specifica, utilizzando il metabolimetro, uno strumento che permette di valutare il consumo di ossigeno a differenti velocità di corsa e individuare quella in cui si è più vulnerabili. Spesso è alla velocità di gara che il podista è vulnerabile perché, nell'intento di resistere a questo sforzo, "stringe" i denti per non calare.
La soluzione per migliorare il costo metabolico non è così semplice, perché si deve agire su vari aspetti della meccanica di corsa. L'amatore in genere non riesce cogliere l'importanza di questo aspetto; basta pensare che spesso non pratica la mobilità articolare e l'allungamento muscolare, e questi due elementi sono solo una minima parte dell'azione che si deve fare per agire sul costo metabolico, ma servono per procedere con maggior efficacia negli altri aspetti.
Altre volte, il miglioramento del costo metabolico passa per la presa di coscienza dell'azione decontratta in corsa, un altro aspetto che il podista non coglie. Rallentare per correre meglio è una raccomandazione che viene molto spesso ignorata perché il podista ha in mente solo una cosa quando si allena: correre forte.
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