Questa la Newsletter di Orlando Pizzolato. "Febbraio 2016: contatto direttamente Francois Péronnet per le vicende del tribunale che avevo in ballo in quel momento, e scambio alcune riflessioni mentre si trova in Italia per un convegno medico sul Lago Maggiore: proprio in quell'occasione mi “avverte” che la soglia anaerobica non “esiste”, e mi invia un suo articolo esplicativo del 2014.
Il professore canadese asseriva da tempo che la fisiologia dello sforzo di endurance era diversa da quella che medici e allenatori andavano (e vanno) affermando. Tale dichiarazione mi aveva destabilizzato, perché da sempre le mie conoscenze avevano una certezza: accumulo di acido lattico (o lattato) nei muscoli = soglia anaerobica.
L'affermazione di Péronnet determinò una distorsione nelle letture e negli studi che ho successivamente fatto, perché tutti i testi da me letti si riferivano alla soglia anaerobica indicandola, appunto, come intensità limite del meccanismo aerobico, e come sforzo fisico con accumulo di acido lattico.
Se ci si basa su questa convinzione, si deduce che prima della soglia anaerobica c'è produzione di acido lattico ma non accumulo, che si manifesta invece successivamente. Dal punto di vista fisiologico, polmoni e cuore non sono più in grado di garantire un'adeguata quantità di ossigeno ai muscoli e questi, per mantenere il carico di lavoro (nel nostro caso il ritmo di corsa), ricorrono al supporto del meccanismo anaerobico, con conseguente accumulo di acido lattico.
Da tempo si afferma però che non è l'acido lattico accumulato nei muscoli a limitare e condizionare il rendimento fisico, ma la molecola di lattato che circola nel sangue. Il lattato è presente nel sangue non solo quando il ritmo di corsa è elevato, ma si trova nei muscoli anche quando si è a riposo.
Pertanto il lattato non si produce a causa di una carenza di ossigeno, e non va quindi considerato come un sottoprodotto del metabolismo anaerobico: il lattato è anche una fonte supplementare di energia per i muscoli. Quello che si misura quando si fanno i prelievi sotto sforzo è la parte residua del lattato prodotto e quello utilizzato come fonte energetica.
Di conseguenza, non si deve guardare al motore aerobico e a quello anaerobico nell'ottica della loro capacità di utilizzare o meno ossigeno. Questi due “motori” vanno considerati invece in relazione alla loro capacità di produrre energia. Lo riporta uno studio recente che ha cercato di fare un'analisi critica della definizione di soglia anaerobica che aveva preso piede dal 1960.
Così, il “motore aerobico” produce energia in maniera efficiente, ma la rende disponibile lentamente. Quello anaerobico invece, meno efficiente, la rende disponibile molto rapidamente. In sostanza, in corrispondenza di elevate richieste di energia s'innescherà un aumento della produzione di lattato, superiore a quella presente nel sangue nella fase di riposo o quando si corre ad andatura leggera – tale da non attivare il “motore” anaerobico. Il livello di sforzo (ritmo di corsa) al quale il meccanismo anaerobico comincia a produrre energia viene definito dai ricercatori come “soglia del lattato”, che non corrisponde alla soglia anaerobica. Oltre la soglia del lattato la quantità prodotta rimane piuttosto stabile, con ridotti incrementi, fino a un livello di sforzo oltre il quale questa molecola si accumula nel sangue e porta l'atleta all'esaurimento. Molti pensano che sia l'incremento del lattato a causare la conseguente acidità del sangue, pensando che da questa molecola si “stacchi” un ione idrogeno, ma così non è, come avrò modo di spiegare in una prossima newsletter.
Il punto oltre il quale si perde la stabilità nella produzione di lattato viene definita “velocità critica”.
Da un punto di vista tecnico è utile distinguere le due “soglie”: la soglia del lattato e quella della velocità critica. La differenza di velocità tra le due intensità di corsa consente di fare valutazioni specifiche sulla fisiologia di un podista. Maggiore è il divario, più il motore anaerobico è potente; se invece tra le due soglie la differenza di velocità è contenuta, si ha a che fare con il profilo fisiologico di un maratoneta.
Da un punto di vista pratico si hanno quindi informazioni favorevoli per valutare se agire sulla fisiologia che sta prima della soglia del lattato, o se invece insistere tra questa velocità e quella critica, e quanto andare oltre.
Dalle indicazioni riportate in questa recente ricerca, e dalle annotazioni che mi aveva fornito tempo fa Péronnet, ho già iniziato ad applicare un metodo sperimentale (su qualche soggetto) per inquadrare i punti forti e deboli di un podista. Sono quindi nella fase di studio, che è sempre un contesto interessante per capire in forma pratica la fisiologia.
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